Viviamo in un modo complesso che lo sarà sempre di più. Siamo immersi in una società che non pone alcun fermo ai problemi ma sceglie di fermare la narrazione. Eppure, noi giornalisti abbiamo un ruolo fondamentale: possiamo educare il lettore, ispirarlo e spingerlo a credere in un mondo che ha mille volti. Non solo quello positivo a tutti i costi ma nemmeno quello negativo allo stremo. Il giornalismo in cui crediamo in questo network è un giornalismo che costruisce, che racconta risposte e soluzioni, che allarga lo sguardo e cerca le sfumature. Il non detto. Il non ancora raccontato. È in questi angoli che si celano le storie di cui abbiamo bisogno. Quelle che elevano il dibattito pubblico e ci impediscono di trovare scuse di fronte ai grandi problemi della società.

Nina Fasciaux è Manager in Europe & International coordinator del Solutions Journalism Network che ha come mission quella di divulgare il giornalismo delle soluzioni in tutti i Paesi del mondo. Una realtà che lavora intensamente e creando connessioni tra giornalisti di ogni parte del globo con l’intento di mostrare nuove strade percorribili e riuscire a cambiare il paradigma dell’informazione. Per me Nina è un punto di riferimento importante e con lei ho appreso gli elementi base del giornalismo delle soluzioni che sono diventate la mission del nostro network. Ed è questa la ragione per cui ho voluto fortemente che fosse presente in questo blog per raccontarci ciò in cui crede e cosa sta accadendo in Europa.

Poche parole per raccontarci cos è il solutions journalism e perché è così importante soprattutto in questo momento storico.

Il solutions journalism riporta le risposte ai problemi. Si tratta di un approccio importante oggi perché sono numerosi gli studi che affermano come le persone si siano allontanate dalle notizie perché troppo negative e perché influiscono troppo sul loro umore. Il solutions journalism gioca un ruolo fondamentale nella società perché consente di riconnettere le persone alle persone. L’eccesso di negatività nell’informazione ha portato a una concentrazione di articoli sui problemi che ha stimolato un sensazione di impotenza nelle persone. Ma c’è un’altra ragione per cui il solutions journalism gioca un ruolo importante oggi: influenza i decision makers e ci toglie dalla tentazione di trovare scuse per non risolvere i problemi.

Perché tu personalmente credi nel solutions journalism?

Le notizie sono qualcosa di molto complesso. Dietro ogni storia ci sono più sfumature. Quando ho lavorato in Russia come giornalista, per 5 anni, leggevo le notizie che venivano date in Europa e tutto sembrava eccessivamente negativo: non era totalmente falso, ma non era nemmeno completamente vero. Si trattava per lo più di un racconto dei russi senza i russi. Credo che per noi giornalisti sia frustrante rapportarsi sempre con lo stesso tipo di storie. Spesso è sufficiente cambiare nome della città, nomi dei protagonisti e la data per avere una storia che, in realtà, assomiglia a tutte le altre. Ho sentito il bisogno di raccontare storie nuove.

La prima cosa da fare se si è un giornalista e si vuole avvicinare il solutions journalism?

Il primo aspetto fondamentale è comprendere a fondo che non si tratta di giornalismo positivo ma di un giornalismo che ha un suo approccio critico. Questo ci porta a porci domande che vanno più a fondo nei fatti: ci sono sfumature che nessuno ha raccontato di questa storia? Chi sta facendo meglio? Nel caso, poi, di storie che partono dai dati è interessante rintracciare la devianza positiva: dove le cose stanno funzionando? Quello può diventare il punto di partenza del racconto.

La prima cosa da fare se si è studenti di giornalismo interessati al solutions journalism

Credo che l’approccio migliore sia quello di tenere a mente che non è necessario focalizzarsi sulla storia ma è importante allargare la visuale per cogliere ciò che è meno evidente.

Quando non è possibile fare solutions journalism?

Sicuramente nelle breaking news che hanno un taglio lampo che non approfondisce. Però è possibile lanciare una notizia e poi prendersi il tempo per tornare indietro, osservare raccontare.

E invece, quando è necessario?

Sicuramente in tematiche come il cambiamento climatico o le violenze che vedono protagonista la polizia: in quei casi in cui la narrazione è la stessa da 15 anni. Occorre, invece, elevare il dibattito pubblico altrimenti si rischia l’apatia. Prova a pensare: se dici che la casa brucia l’effetto è la paralisi, se dici la casa brucia e abbiamo due soluzioni per salvarci la cosa cambia totalmente.

Quali sono i Paesi europei più orientati al solutions journalism?

Ci sono diverse realtà interessanti. Mediacité in Francia sta facendo un ottimo lavoro così come la BBC nel Regno Unito. Molto attivi sono anche i danesi e in Europa Centrale e dell’Est Transition sta lavorando molto bene in questo senso.

Solutions journalism e Covid-19: come si può migliorare la narrazione?

Sono due le considerazioni da fare. La prima è un invito a sezionare il problema in più parti: questa è la chiave quando il tema è molto ampio. Definire le più piccole parti del problema ed entrarci dentro. Non raccontare il Covid-19, per esempio,  ma la vulnerabilità delle persone o il ruolo dei social media in questa pandemia. La seconda riflessione riguarda le lezioni da imparare dalla prima ondata o dagli altri Paesi.

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