Ho percorso il Siq di Petra, in Giordania, centinaia di volte.
All’inizio degli anni ’90 a cavallo, poi a piedi, qualche volta in calesse, quando sono stanca e riesco a strappare un passaggio.
Ho camminato sulla terra battuta quando ancora ricopriva l’attuale lastricato romano portato alla luce nel tempo. Sono stata ospite dei beduini prima che dovessero lasciare il sito archeologico che abitavano da anni. Ho visto cumuli di sabbia rivelare mosaici bizantini e pareti di roccia multicolore crollare sotto i colpi del tempo. Sono stata sorpresa da neve, inondazioni, afa; conosco le albe, i tramonti e le sfumature dei raggi del sole a ogni ora sulla facciata del Kazneh.
Ho osservato, accompagnato, parlato e mangiato con migliaia di persone e di turisti.

Ma non ho mai visto nessuna donna visitare il sito in abiti da sera, con veli di tulle, a piedi scalzi, truccata e pettinata come se fosse appena uscita da un salone di bellezza.
Quelle che lo fanno, posano. Cioè fingono. Cioè veicolano un’immagine di un viaggiatore che non esiste.

Non sarò mai una di loro per molte ragioni legate a età e prestanza fisica. Ma soprattutto non sono e non avrei mai potuto essere come loro perché il modo finto di raccontare il mondo è l’opposto dell’essenza del viaggio, che è verità, incontro, scambio, conoscenza. E fatica.  

Non sarebbe ora di invertire la tendenza e di tornare davvero a parlare di luoghi e di persone?

Costruttivo significa reale

Ho scelto di cominciare proprio da qui le mie riflessioni su quello che ho chiamato #turismocostruttivo. In sintesi, è la filosofia su cui fondo le mie attività legate al turismo e al viaggio: articoli, guide, consulenze, formazione.
Costruttivo significa reale, con i piedi per terra. Significa fornire un’informazione pensando a chi dovrà fruirne: il viaggiatore.

Certo, le circostanze ci hanno imposto una pausa forzata, ci hanno insegnato a usare (e abusare di) ogni strumento a nostra disposizione per mantenere il contatto con il mondo, dai video ai podcast, alle letture. Tutti realizzati nell’ottica del fruitore, tutti risultato di studio, piani di lavoro, sceneggiature, montaggi. Insomma, anche questi costruiti, come le foto delle improbabili visitatrici di Petra in abito immacolato.

La differenza sta nelle modalità, oltre che nei contenuti. Qual è l’intento? E come viene perseguito? Fra promozione, informazione e pubblicità il confine a volte è netto, altre sottile e sfumato.
Si può informare in maniera costruttiva anche vendendo, scegliendo un taglio narrativo che induca la domanda ma che sia utile, reale. Onesto negli obiettivi, anche quando sono pubblicitari.
Farsi fotografare in abito lungo con Petra sullo sfondo, invece, falsa totalmente la realtà perché quell’immagine non parla solo di un luogo ma intende fornire anche il punto di vista di un viaggiatore.

Un punto di vista sbagliato. Inesistente.

Chi visita davvero Petra non ha quella faccia, non ha quegli abiti (e di certo non così puliti), né quella pettinatura. Ha sandali o scarpe comode, verosimilmente ricoperte di sabbia perché tra l’ingresso del sito e il Kazneh c’è circa un chilometro di terra (e lastricato romano). Probabilmente avrà canottiera e occhiali da sole oppure sciarpa, cappello e guanti in base alla stagione. Avrà le gote rosse, gli occhi che brillano per l’emozione, la mascella spalancata davanti allo spettacolo maestoso del luogo. Ma certamente non i capelli perfettamente spettinati e rossetto senza un minimo di sbavatura. Avrà bevuto dalla borraccia, starà cercando di dribblare gli altri turisti per fare la foto più vuota possibile, guarderà l’orologio perché la giornata di visita è lunghissima e bisogna calibrare bene i tempi.

Quella persona nella foto non corrisponde a nessuno di noi. E allora perché funziona?

Le ragioni di chi la pubblica appaiono ovvie: consenso, valore, contratto. Ma quelle di chi conferisce consensi e di conseguenza valore sono più complesse. Identificazione? Modello? Sogno? Abitudine? L’analisi del follower di viaggiatori in modalità distorte non è l’obiettivo del mio pensiero libero.
Preferisco sollevare la questione e riflettere sulla superficialità dell’approccio, sull’importanza di analizzare il messaggio che riceviamo. Sulla necessità, per me sempre più impellente, di dare aria, di fare vuoto, di divulgare. Per tornare a un turismo reale, autentico. Costruttivo.

Carla Diamanti

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